Seconda giornata


Serio, il nostro comandante, non è frettoloso. Anzi, a dire il vero, mi pare assai poco interessato al fine ultimo della nostra missione.

Ieri, tanto per cominciare, dopo nemmeno due ore di cammino ci ha fermati a Conca. S'è infilato nella chiesa e s'è trattenuto a lungo in preghiera; poi s'è attardato con alcuni notabili del luogo e, forse per le loro insistenze, ha deciso di pernottare lì. A me questa è sembrata una stramberia bella e buona.

Quando s'è trattato di organizzare la mensa in compagnia dei buoni Conchesi, è diventato un altro uomo. Prima lento e silenzioso, ora veloce di mano e di parola, ha invocato la benevolenza dei Santi e la misericordia dell'Altissimo, ha dato ordini sputando, sentenziando e bastonando i servi. Solo allora si è calmato, quando ha visto tutto pronto e s'è iniziata la cena. Con la scusa dell'amicizia, del tempo mite e della polvere in gola, ha vuotato più volte la coppa e più volte se l'è fatta riempire, fin quando non è stato preso dal sonno e se n'è andato a dormire.

Stamattina, come se non bastasse, era assai poco propenso a mettersi in marcia di buon'ora. Questa condotta mi sembra inappropriata al comando e temo non ci porti lontano. Ma a giudicare i potenti si finisce male, sicché io non dico nulla e gli altri nemmeno. Per non incrociare i suoi occhi, i cavalieri si fingono impegnati a guardare i cavalli, i fanti a guardarsi i piedi, io a dire le orazioni con tanto fervore da sembrare un penitente.

Quando i commiati sono finalmente terminati, ci rimettiamo in marcia insieme ad altri due cavalieri, ciascuno accompagnato da un palafreniere, che si uniscono alla nostra impresa. Non li avevo mai visti prima.

La via s'inerpica e per la sesta ora raggiungiamo Santa Maria di Grado dove, supervacuum dictu, Serio ci ferma di nuovo.

Entriamo nella chiesa e ci inginocchiamo sul nudo pavimento della navata. Il chierico prende posizione di fronte a noi, le spalle all'altare, e apre il libro d'ore per guidare le orazioni. Al responsorio, il nostro coro fa suonare le pareti che con l'eco raddoppiano le nostre voci. 

Questo suono e la semioscurità che mi accoglie mi sono familiari. Quante ore ho passato nella nostra Basilica, pregando insieme agli altri cavalieri e ai novizi! E quanto spesso ho lasciato che la mente si liberasse dal vincolo della recita e si avvicinasse al Padre, portando a Lui l'umile voce di un servo che invoca pietà e perdono. Quanto ho conversato con Lui, esponendo la mia anima nuda al Suo giudizio e alla Sua Misericordia. Non importa quanto forte risuonino le invocazioni, quanto si alzi la mia stessa voce: i miei pensieri viaggiano nel più profondo silenzio. Nella Casa di Dio, di fronte a Lui che mi illumina, io mi sento tanto protetto quanto il nascituro nel tiepido ventre materno. 

Il chierico, infine, ci benedice e torniamo sul sagrato, che è una piazza coperta di selciato e delimitata da muretti a secco, in parte contornata da faggi, in parte aperta sul golfo.

Qui la mollezza del paesaggio e l'incanto del mare ci invitano all'ozio e alla meditazione. Non sembra che il nostro buon duce se ne voglia privare e così ci fermiamo, chi seduto e chi sdraiato nell'erba, fino all'ora nona.

È già tardo pomeriggio quando raggiungiamo la contrada di Tovere. Il sito è ameno: siamo su un altopiano affacciato sul golfo. Amalfi è coperta dallo spuntone, ma si vede Salerno da un lato e s'intravede appena l'isola di Capri dall'altro, coperta com'è dalla costa alta e fitta di vegetazione.

Gli altri si preparano per la notte, che trascorreremo in convento. Intanto io, per comando, vado a cercare informazioni insieme a due compagni. Ci inerpichiamo su per la collina e procediamo in mezzo all'erba alta. Il sole già cala e le ombre si allungano, quando finalmente incontriamo due pastori. A gesti, più che a parole, ci confermano che Ellino ha preso la strada per il Faito, con un vantaggio di quattro giorni. "Quanti sono?", chiediamo, ma la risposta non si capisce. "Molti, molti!" sembra che dicano. Ma molti quanti? Ahimè, non sanno contare. Devo compatirli o prenderli a bastonate per questa loro ottusa stupidità? Sputo a terra e me ne vado mentre i compagni, invece, indugiano. Come mi volto, vedo un parapiglia: non si sono fatti tanti scrupoli e hanno riempito di botte i pastori, che si son dati alla fuga. Con questa loro impresa hanno onestamente conquistato un paio di agnelli per la cena.


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