Quarta giornata


Cammino guardando la terra davanti ai miei piedi, senza il coraggio di alzare lo sguardo per la vergogna di quello che è accaduto stanotte. Ho fatto ridere di me tutta la compagnia, dai pari ai garzoni. Ho fatto la più brutta figura di tutta la vita. Serio ne parlerà con mio padre. Sono rovinato... Lui mi bastonerà, mi diserederà, mi caccerà via. Altro che mare e viaggi. Addio pure a te, Trofomes! Come potrei più presentarmi alla tua casa? Dio mio, come è potuto accadere? Quali influssi malefici mi hanno preso, perché questi brutti sogni? Da dove vengono? Non da te, madre. Non da te, Altissimo Eterno. Proteggimi. Libera me a malo.

Il Maligno si prende gioco di me. Si è presentato col volto gentile, mi ha preso per il lato buono, mi ha ingannato. Con altri può far leva sui vizi: la lussuria, l'avarizia, la gola e così via. Con me, che vizi non ho, ha giocato d'astuzia e ha sfruttato le mie virtù. Mi è stato insegnato che l'amore per il prossimo realizza la più alta perfezione dello spirito umano, perché rispecchia la natura di Dio e Lo glorifica. Questa è la carità, mostrarsi benevolenti e accoglienti con tutti, anche con gli stranieri. Ed ecco che il Diavolo in persona, mentre mi trovo in una terra sconosciuta, mi si presenta sotto le spoglie di una donna amabile, apparentemente inoffensiva e, non appena mi mostro caritatevole con lei, mi tenta. Io sono stato ingannato in questo modo, per la mia carità.

Il suo stratagemma era molto ben congegnato. Per l'uomo, il volo è contro natura. Se Dio avesse voluto farci volare, ci avrebbe dato le ali come le hanno gli Angeli e gli uccelli; invece non ce le ha date, perché per noi ha progetti diversi. Ed il demonio che fa? Mi fa volare in sogno, mettendomi nella mente confusa la più dolce delle sensazioni, la leggerezza. Era così reale, che se m'avessero detto di avermi visto volare non l'avrei trovato strano, mentre è stato strano risvegliarmi con i piedi per terra. È come se avessi volato davvero. Anzi, come se anche adesso, mentre cammino su questo sentiero, potessi farlo di nuovo, potessi alleggerirmi e volteggiare sul capo dei compagni, superarli come un'ombra, senza rumore, e farmi trovare in testa alla fila tra lo stupore generale. Se accadesse, li vedrei cadere in ginocchio ai miei piedi, gridando al miracolo.

Perché sorrido, a questo pensiero? È forse il germe dell'invidia per quelli più forti e rispettati? Mio Dio, come è debole il tuo servo.

Mentre sono preso da questi pensieri, un frastuono improvviso mi riporta alla realtà. Viene dal fianco del monte, dalla direzione presa da Matteo. "Sono i nostri in battaglia. Palafrenieri, radunate i cavalli! Due restino a guardarli, gli altri si muovano e mi seguano, accorriamo!"

Serio s'è trasformato. Vedo un uomo energico, deciso, temperante che infonde coraggio agli altri, li incita, si lancia egli stesso in prima linea. Seguo il suo ordine col cuore in gola. O forse dovrei dire, con più onestà, che le gambe seguono l'ordine e mi trascinano con loro.

Ci lanciamo in ordine sparso. Corriamo come il vento, evitando i rami bassi e saltando le radici sporgenti, col fiato grosso. All'improvviso, s'apre davanti a noi una radura e ci troviamo su un belvedere. Davanti a noi il golfo di Napoli, le isole e le coste, il Vesuvio, insomma tutte le meraviglie che Dio ha messo in questa terra benedetta.

Come se ce l'avesse comandato lo Spirito Santo, mostrandoci il miracolo della Natura, ci fermiamo di botto e tiriamo il fiato. Siamo avvolti dal totale silenzio, il baccano s'è spento.

Mentre cerchiamo Serio con gli occhi, risuona ancora il corno di Matteo.

"Sono salvi, il nemico è vinto! Raggiungiamoli, presto!"

Serio alza la spada e ci rimettiamo in movimento, più ordinati di prima.

A un tratto, preceduto da altri squilli del corno, ecco spuntare Matteo, seguito dagli altri.

Su un cavallo portato per le briglie c'è un corpo riverso: è quello di Ellino. Quando me ne rendo conto, un po' per la stanchezza della corsa e un po' per l'emozione, cado in ginocchio.

A vederlo morto davvero non fa paura. Scalzo, sporco, lacero, imbrattato di sangue, è solo un povero straccione. Matteo dice che s'è spinto al crimine perché era preso dalla fame, che era allo stremo, che era rimasto solo.

Curiosa sorte, la sua. S'è tirato addosso un manipolo armato per l'esserci sembrato così temibile, senza esserlo. Quando l'abbiamo stanato non s'è arreso e s'è scagliato come una belva sui nostri che lo circondavano e gli urlavano d'arrendersi, ma lui non s'è dato per vinto, finché una lancia non l'ha trafitto. S'è dato la forza che non aveva solo per procacciarsi la morte.

Ora Serio ci chiama a consiglio. Il discorso è breve: nel covo non s'è trovato nulla che abbia qualche valore, non c'è bottino da spartire, né da restituire alla Repubblica. Purtroppo, quel che si raccontava di lui era solo frutto di esagerazione, o di fantasia, bisogna farsene una ragione.

Tra il malcontento che segue, si decide di non portare il corpo ad Amalfi, ma di dargli sepoltura qui, su questo poggio affacciato sul mare.

Il volto di Ellino è lavato con pietà, perché non si presenti al Giudizio ancora sporco di sangue, e le sue membra sono ricomposte nella nuda terra. Dopo averlo deposto, il cadavere è tumulato con rocce e sassi.

Il chierico ci chiama alla preghiera; inginocchiati, ascoltiamo la sua predica sulla morte, sul perdono di Dio e sulla resurrezione della carne. Infine, cantiamo il requiem.

Ellino avrà avuto tempo di pentirsi dei suoi peccati, prima di rendere l'anima al Padre? Non lo sappiamo. Noi lo abbiamo perdonato. Speriamo di ritrovarlo come un fratello nel giorno del giudizio.

La miseria umana, la debolezza, i sogni, la morte mi hanno scosso ed emozionato. Vorrei trovare conforto, confrontarmi con un uomo santo. Ne parlo col chierico. Lui acconsente, ma rimanda l'appuntamento perché Serio ci chiama e dobbiamo rimetterci in cammino.


La sesta ora

Il drappello s'è messo ordinatamente in marcia, agli ordini di Serio e di Matteo, che col suo colpo di mano s'è guadagnato la stima di tutti. 

Se faccio il confronto con l'aspetto che avevamo appena ieri, quasi non riconosco la comitiva. Ora che il nostro scopo è stato raggiunto, tutti sono allegri e l'unico pensiero è far presto, per raggiungere prima di sera Amalfi o, alla peggio, Conca.

Tra garzoni e cavalieri è un chiacchiericcio continuo. Chi non era presente allo scontro con Ellino chiede ragguagli, chi c'era racconta la storia più e più volte, ogni volta arricchendola, un po' per far contenti quelli che vogliono sapere e un po' per godersi il momento di popolarità. Per conto mio più ascolto e meno capisco, mi sembra che le lingue s'imbroglino e vengano fuori sempre più contraddizioni. Per esempio, non s'è capito che fine abbiano fatto i suoi compagni; dovevano pur esistere, me l'hanno confermato i pastori a Tovere. Qualcuno dice di averli visti fuggire, altri non ne sanno nulla. Matteo è reticente e mi viene il dubbio che non desideri sia sollevata la questione, considerando che non s'è dato la pena di inseguirli. Nemmeno Serio ne ha fatto menzione, probabilmente perché ritiene la morte di Ellino più che sufficiente a chiudere il discorso.

"Ma è certo che sia proprio lui?" chiede qualcuno.

Nella fretta degli eventi non ci avevo pensato, il dubbio è ragionevole.

"Canio l'ha riconosciuto", rassicura un giovane.

"E come ha potuto?"

"Facile, due anni fa Ellino l'aveva derubato. Per questo s'è unito a noi, a Conca. Ora ha avuto la sua vendetta."

"Non l'ha mica ucciso lui?"

Come sempre, più che partecipare alla conversazione, rifletto.

Questo battibecco viene a mio vantaggio: nessuno pensa più a me e alla brutta figura che ho fatto all'alba di stamattina. Così sono fatti gli uomini, ora sono tanto presi da un evento, un attimo dopo l'hanno dimenticato. Si fa strada nel cuore un filo di speranza; forse, rallegrato dal successo, anche Serio mi perdonerà. Più tardi, con cautela, potrei sondare il terreno. Se rinunciasse a denunciarmi a mio padre, tutto si metterebbe per il meglio: riuscirei a portare a mio merito la partecipazione a questa impresa.

Intanto c'è ancora qualcosa che mi sfugge: prendere Ellino è stato troppo facile. Mi chiedo, a questo punto, se il nostro comandante non sia andato a colpo sicuro; forse sapeva più cose di quante non ne abbia lasciate capire. Sì, questa è la spiegazione più ragionevole del suo operato, di più, è l'unica spiegazione possibile. Sapeva in partenza che Ellino era mal messo, che viveva di stenti, che i suoi erano pochi e male armati, pavidi e predisposti alla fuga. Doveva già avere un'idea abbastanza precisa su dove trovarlo. Con tutte queste informazioni  e senza prospettiva di bottino deve essersi messo d'accordo con il giudice per una ricompensa tangibile, una bella borsa di argento o qualche tarì. E per sovrappiù ha organizzato un paio di convivi a spese della Repubblica.

Ma poi, sarà proprio vero che non s'è trovata nemmeno una moneta? Serio è un uomo astuto e Matteo potrebbe essere suo complice. 


Il vespro

Torno ai luoghi che mi appartengono.

Non m'ero mai mosso dal mare e, nonostante questa esperienza sul monte, l'acqua resta il mio elemento, non la cambio per la terra. Mi bagnerò tra le onde, mi tufferò per prendere i polpi e le conchiglie, uscirò in barca col Maestrale per farmi spruzzare in faccia dalle raffiche. In mezzo al dondolio, mi terrò ritto e ringrazierò Dio dell'immensa gioia che provo quando punto gli occhi all'orizzonte.

La pista ci porta lungo un dolce declivio, in campo aperto. Gli zoccoli del Grigio battono sulla terra e ogni tocco è un colpo lievissimo, prolungato nel fruscio, che si stacca dal fondo indistinto, appena percettibile, degli altri animali al passo.

Inseguiti dalla notte, che già copre materna i monti che lasciamo a mano sinistra, scendiamo verso Conca; la raggiungeremo in men che non si dica. L'aria è umida e ferma, il prato è punteggiato di fiori scuri. Illuminate dall'ultima luce, le nostre figure da un lato brillano di arancio, dall'altro proiettano lunghe ombre azzurre. A mano destra Espero, frettoloso, è sparito dalla vista assai prima del crepuscolo e tra poco il Sole lo seguirà, andandosi a nascondere dietro la vegetazione. Anche oggi Dio prepara il miracolo del tramonto, per allietare gli occhi degli uomini stanchi.

I compagni tacciono, eppure potrei indovinare i loro pensieri. Sono così forti, che l'aria trema intorno ai loro corpi, si sollevano in onde schiumose e, come spinti dal vento, viaggiano veloci verso casa.

Sergio ha annunciato che pernotteremo ancora nel convento e domattina torneremo ad Amalfi freschi e riposati. Certo coglierà l'ultima occasione per far festa con i compari. All'andata questo atteggiamento mi metteva ansia, ora non mi tocca più, sono preso da pensieri molto più forti riguardo al mio stesso destino. Mi sento sospeso. Da un lato, la ragione dice che ogni cosa si metterà al meglio, che non devo disperare. In fondo, non ho commesso nulla di terribile: se pure mancare alla consegna e cadere addormentato nel turno di guardia è colpa grave, pur sempre non c'è stata alcuna conseguenza. D'altro canto, so che molto conta la sorte, perché i giudizi degli uomini sono dettati più dalla convenienza che dalla giustizia, sicché a volte si finisce dalla parte del torto per una sciocchezza, se a qualche potente così conviene, e altre si è perdonati per ogni possibile nefandezza.

Meglio pensare al lato positivo delle cose. In questi giorni ho avuto occasione di riflettere, pregare, combattere. Magari combattere no, per essere sincero, ma pure ho affrontato i demoni che infestano il Faito. Mi hanno assalito nella notte, hanno popolato i miei sogni e mi hanno tormentato con le loro presenze mefitiche. Ma come mi ha spiegato il chierico, gli spiriti maligni non possono abbandonare la selva, ove Dio li ha confinati per tenerli lontano dalla civiltà degli uomini, nella dannazione dell'esilio e della solitudine. Tra poco ci incontreremo in privato e mi spiegherà altri dettagli. Ha promesso che manterrà il segreto su ogni cosa che ci diremo.


La compieta

"Quanti anni hai, ragazzo?"

"Ne compirò diciotto a dicembre, Basilio."

"Attraversi una fase molto importante della vita. Lo sai, vero?"

"Penso di sì."

"Hai una lunga strada davanti a te, ma quale sarà la destinazione?"

"Non lo so."

"Cosa ti preoccupa?"

"Vorrei onorare il nome di mio padre e della mia famiglia, ma a tratti questo impegno mi spaventa. Temo di non essere all'altezza."

"Facendoti cavaliere, tuo padre ha posto su di te le sue speranze e parte dei suoi averi. Non è cosa da poco."

"E' così."

"Sai che lo conosco?"

"No, non sapevo."

"Prima che tu nascessi, lo seguii lungo le coste dell'Africa e dell'Asia, poi da lì al Bosforo, fino alla città che io desideravo visitare: Bisanzio, la grande capitale dell'Impero. Lì ci salutammo e lui riprese il mare, con l'intenzione di doppiare il Peloponneso e fare rotta per l'Adriatico, mentre io rimasi lì, a fare ciò che dovevo, studiare."

"Che studio ha mai meritato un viaggio così lungo?"

"La ricerca della Vera Fede, figliolo. A Bisanzio ho trovato ciò che cercavo; in sei anni ho mandato a memoria molti testi antichi che hanno cambiato per sempre la mia vita."

"Che testi?"

"Catello, gli antichi Padri della nostra Santa Chiesa vissero in Oriente, lì hanno scritto e lì ho ritrovato le loro opere."

"La nostra Chiesa è la Chiesa di Costantinopoli?"

Basilio è lievemente trasalito a questa domanda, che avevo fatto con timore, considerandola troppo ingenua. Per un attimo ha chiuso gli occhi, per riflettere, poi si è sciolto in un fiume di parole. Ha iniziato con tono pacato, spiegando che la Cristianità è divisa in cinque Chiese maggiori, tra le quali prevale la Chiesa Apostolica di Roma, ma che da molti punti di vista non è affatto così, perché la Chiesa di Costantinopoli, la Basileia, è l'unica vera Chiesa universale. E comunque, Amalfi parteggia per l'Oriente; il Duca Sergio, che è morto da poco, fu fatto Patrizio da Bisanzio e suo figlio Masalo, che ora ci regge, resta amico e alleato dei Bizantini. Queste cose le ho capite bene, perché me le aveva già spiegate anche mio padre. Invece non potrei più ripetere il resto perché, mentre Basilio parlava con foga crescente, alzando a tratti il tono della voce, mi sono perso nei dettagli. Mi resta l'impressione che no, la domanda non era sciocca come pensavo, l'imperatore d'Oriente e quello d'Occidente, il Papa, il Patriarca, i Vescovi delle altre Chiese e i monaci sono sì uniti contro eretici e miscredenti, ma sono tutti in contrasto tra di loro. Sono cose troppo difficili per me, almeno per ora.

"Per capire queste cose sei andato in Oriente. Volevi intendere questo, Basilio?"

"Mi stupisce che tu non mi abbia chiesto nulla di tuo padre."

"So quanto occorre, è mio padre e basta."

"Ora diciamo le orazioni, abbiamo parlato anche troppo. È tempo di abbandonarsi nelle mani di Nostro Signore."


La seconda vigilia

Divido la cella che mi è stata assegnata con due compagni, d'età molto maggiore della mia. In questi giorni mi hanno sempre trattato con distacco e supponenza. Non abbiamo scambiato molte parole nemmeno stasera, quando li ho raggiunti dopo la preghiera: ci siamo divisi i pagliericci, si sono stesi e voltati verso la parete. Li ho salutati con rispetto per tornare da Basilio e nemmeno hanno risposto, hanno mantenuto il punto. Ora dormono rannicchiati, uno dei due russa, ma io non posso prendere sonno.

Quante cose difficili mi ha detto Basilio. 

La sua scienza mi ha affascinato, voglio essere come lui. Quando mio padre mi porterà con sé, anche io voglio essere lasciato nella grande capitale dalle larghe strade e dai templi immensi. Ho davanti agli occhi i mosaici e i vetri che non ho mai visto, colonne e archi, statue, legni dipinti; eppure, lascerei tutto questo per un monastero operoso, per una biblioteca in cui chiudermi e studiare. Tutto è scritto nei libri, basta saperlo leggere e io scoprirò come. Decifrerò i caratteri, imparerò a memoria ogni Testo Sacro, tutte le opere dei Padri, non tralascerò le chiose, nulla. Ci vorranno anni, molti anni. Dieci anni resterò a Bisanzio, forse venti, poi tornerò ad Amalfi e lì resterò per la vita, rispettato da tutti per il mio sapere.

Ma che dico? Non posso star via per tanto, mi farò bastare cinque anni, ad Amalfi devo congiungere le mie mani a quelle di Trofomes. Come ho potuto dimenticarla? Non è forse per lei tutto questo? Per prenderla in moglie, avere famiglia? Farò vita santa, ma non sarò monaco. Per cinque anni può attendermi e lo farà, ma venti son troppi, io non sono Ulisse e lei non è Penelope. 

Che sta facendo in questo momento? Dorme? La vedrò domani? No, non finché questa vicenda non sarà chiara, devo pazientare ancora, ma Basilio m'ha rassicurato, metterà lui una buona parola con Serio. Lo conosce bene: viene dal monastero benedettino di Scala, la stessa città del comandante. Mi ha promesso che si informerà, sistemerà ogni cosa. Dice anche che le mie preoccupazioni sono sciocche, che mi perdo in un bicchiere d'acqua, che vedo fumo di persecuzione da ogni lato, da mio padre, da mio fratello, da Serio, ma non c'è nulla se non nella mia testa. Secondo lui, non ho temperanza e questo non è un bene. Ci devo lavorare su, ma ho tempo, perché sono ancora giovane. Credo di poter migliorare.

Madre, tu che mi guardi dal Cielo: ci riuscirò, sarò quell'uomo che tu desideravi e prefiguravi. D'altronde, non è che tutti siano scelti da Dio per essere Duci o Imperatori, il mio destino non chiede e non vuole tanto; sarò un uomo d'animo forte, sì, ma semplice. Non ti deluderò, madre. In questo preciso momento è molto importante che io sia coraggioso, me lo ha spiegato Basilio. È una questione politica: il nostro Duca è forte e saggio e Amalfi è molto più salda di prima. Siamo al crocevia del mondo, tra l'Impero d'Oriente e d'Occidente, tra i Longobardi che tengono la terra e gli Arabi che tengono il mare, e possiamo liberamente commerciare con tutti loro. Le cose potrebbero mettersi molto bene e devo essere pronto a farmi valere. Madre, sotto il comando di Luca, il tuo sposo, io e Andrea solcheremo il mare sulle nostre galee. Il tuo secondo bene prezioso non ti deluderà.

Che bella storia ha il nome che mi hai dato, te ne sono grato. Devo anche questa spiegazione a Basilio. Catello fu Vescovo di Stabia, questo lo sapevo, e fondò l'oratorio di San Michele sull'Aureo, la vetta del Faito che domina quella città. Sono cose che mi avevi detto tu. Ignoravo invece che fu lo stesso Arcangelo Michele a chiedergli questo atto di devozione: gli apparve in sogno e glielo ordinò. In cambio, l'Arcangelo liberò Catello dalle tentazioni di Satana, che abitava proprio in quel luogo. Satana se ne andò, ma questo è accaduto forse duecento anni fa. Nel frattempo, anche se il monte s'è popolato di benedettini, Satana è tornato, nascondendosi ora in una grotta, ora in un anfratto, e questo spiega i misteri della montagna. Lo stesso Ellino è stato armato da Satana in persona, che gli è apparso in sogno, l'ha chiamato a combattere per lui, promettendogli oro e fortuna, e gli ha messo al fianco schiere di diavoli dell'inferno, creature di zolfo e fuoco, pronte a saccheggiare e a uccidere cristiani, a mutilarne i corpi e a sbranarli come belve. Ma, alla luce del sole, le creature delle tenebre si dissolvono e per questo non ne abbiamo trovato traccia. Lui, Ellino, senza il loro sostegno era ben poca cosa, s'è lasciato scovare ed è caduto sotto le nostre armi senza difese e senza onore.

Basilio m'ha rivelato che Satana evade di notte dalle cavità oscure in cui l'Arcangelo Michele lo ha precipitato insieme agli altri Angeli neri. Per questo motivo la notte è pericolosa. Satana approfitta del buio e del nostro sonno per entrarci nella testa attraverso i sogni. Vuole sporcare la nostra anima di fuliggine, per poi legarla con un filo alla sua zampa caprina e infine, con uno strappo, staccarla dal corpo e portarla con sé nel fuoco eterno. Ellino ha perso la sua anima ed è morto così, ancor prima di perdere la vita trafitto da una lancia.

Io stesso ci sono andato vicino. Ho ancora in mente ogni dettaglio; eppure, raramente ricordo i sogni. Se chiudo gli occhi e li stringo forte, sullo sfondo nero vedo ancora due globi bianchi, gli occhi di Lilith, la prova certa del maleficio. Ma, dice Basilio, mi sono salvato perché il mio nome è consacrato al Vescovo Catello. Il Santo ha chiamato in mia difesa l'Arcangelo e Lui mi ha salvato mandando Serio a scuotermi e interrompendo il sogno. Per questo nelle mie orazioni, per quattro anni, lo ringrazierò pregando così: "Signore, manda il santo Arcangelo Michele, affinché sia presente e difenda questo tuo servo. Lo protegga e lo illumini quando è sveglio e quando dorme, lo rassereni e rassicuri dinanzi ai segni del demonio: che il maligno giammai possa entrare in lui, né osi offendere o ferire la sua anima, il suo corpo, il suo spirito, o atterrirli o solleticarli con la tentazione. Amen."

In questo modo, mai più sognerò Lilith.


La terza vigilia

La notte è serena e il cielo è terso. La brezza passa per la finestra e porta la salsedine fin qui, il pagliericcio ha l'odore delle onde, anche i muri sanno di sale. La Luna, tagliando la notte con una lama sottile, s'infila tra le grate e proietta figure di nero e d'argento.

Sono immerso nel mare.

L'acqua occupa ogni spazio, mi entra nei polmoni e nella testa. I miei occhi sono liquidi. Le mani sono pinne, i capelli fili di alghe. Con un colpo di reni mi sollevo e con la coda remo serpeggiando verso il soffitto, lo sfioro con la schiena, poi con una capriola mi proietto in basso, viro a destra, rullo e m'imbardo, scompiglio un banco di maruzze e lascio che una grande orata mi accarezzi il fianco.

La finestra è aperta. Con due bracciate potrei attraversarla, nuotare nel cielo aperto, come un pesce volante, come un gabbiano. Lì fuori volano gli Angeli, diafane creature. Voglio lasciare il mondo, stringermi a loro, evaporare, innalzarmi al cielo dei Santi, tra le onde di luce.

Ti prego, vieni con me.

Porgimi la mano, Trofomes, lascia che io la sfiori; se mi ami, non evitare il contatto. Fatti condurre in passo di danza. Varcheremo la soglia, lo faremo insieme.

Perché sei ancora così lontana? I tuoi  capelli sciolti ondeggiano, coprono il tuo bel volto. Non decifro l'espressione.

Non tradirmi.

Mi allungo verso di te; aggrappati, tienimi il braccio, lasciati sollevare, voleremo insieme.

Scivoli via e tutto si confonde, ti perdo. Dove sei? Perché l'oscurità ti nasconde? Sento il cuore che batte, mentre torno indietro, rinunciando al passaggio verso il cielo, pur di non perderti. Più forte è l'amore, che la spada dell'Arcangelo.

"Non temere."

La tua voce mi scuote il petto.

"E' dunque così ferma la mano di Dio? Regola la vita degli uomini, dall'ultimo servo della gleba al grande Imperatore? E dov'è la libertà promessa?"

"Non peccare d'orgoglio, Trofomes. Non credere di poter muovere il destino contro il volere di Dio" le dico, continuando a respirare acqua.

Mentre ancora parlo, lei trasfigura.

"Non pensavo di trovarti qui."

Col capo reclinato l'immenso Angelo nero, la grande Regina, sorride.

"Il chierico si sbaglia, non temo la spada dell'Arcangelo, nulla può fermarmi. Ricorda: io sono l'Angelo ribelle. Io, Lilith, non ho mai chinato la testa di fronte a nessuno. Io sono libera.

Entrerò nella tua mente tutte le volte che vorrò e passerò altre notti con te. Sarò la Signora del castello, o Trofomes, o altre donne ancora; ti ingannerò mille e mille altre volte. Tesserò la mia tela di ragno per intrappolarti e, quando ti avrò preso, ti condurrò nel mondo oscuro degli Incubi, dove incontrerai le tue paure più profonde e tue vere aspirazioni. E tu, uomo senza penne, incatenato alla terra da un dio impietoso, ogni volta volerai dietro di me come un uccello.

Il volo rappresenta due cose: l'amore terreno e la libertà. Tu le desideri entrambe, ma le neghi a te stesso, ti censuri e ti flagelli. Io, la Signora delle Tenebre, ogni notte te le porterò in dono.

Io sarò il tuo sogno ricorrente e tu solo questo desidererai, il prossimo sogno in cui incontrarmi. Perché tutto il resto, Catello, è vanità."


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